Canti Gregoriani 2 - Monastero di Sorres

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II DOMENICA di quaresima
220313
Tibi dixit cor meum
 
                                     sal 26,8
 
Il salmo 26 è un appassionato inno di speranza e di fiducia. Proprio queste due prospettive rischiano di svanire in queste ultime settimane. O forse siamo già arrivati oltre la divisione che separa la luce dalle tenebre, la vita dalla morte. In ogni caso, dobbiamo scuoterci, ridestarci, aprire gli occhi, riprendere il cammino. Far rifiorire in noi il dono della speranza. Secondo quattro precisi itinerari interiori, vie d’uscita necessarie per divenire operativi.
 
           Tibi - dixit - cor - meum: sono ben più di quattro parole immaginate dal poeta orante. Nella prospettiva linguistica sono termini diverse, ma insieme si coagulano per formare la chiave che ci apre la porta sul futuro.
 
Tibi: nessun uomo è un’isola. Ciascuno può essere solo, ma è sempre parte viva di una fitta rete di relazioni che scopriamo a ogni passo. Con un inarrestabile crescendo emotivo ‘Tu?’ - ‘TU’ - ‘TU’. Intorno a noi una sola persona oppure mille ci offrono la luce dei loro occhi per illuminare il nostro cammino. Ci offrono il suono della loro voce per indicarci la strada. Ci offrono la forza della loro intelligenza e del loro vigore fisico per sostenerci. Ciascuno è prossimo ancorché sconosciuto. Ciascuno condivide con me la sua esistenza e supplisce ai miei limiti. Ciascuno si rivela quale egli è, forse senza esserne totalmente cosciente: è il buon samaritano, è il Maestro avviato verso Emmaus, è il medico che ridona la salute e la vita. È Cristo Gesù, il Salvatore.
 

 

Dixit: non è una sigla commerciale che esprime il dire a vanvera che riempie facilmente bocca e orecchie senza comunicare di fatto nulla. Dixit è la parola che si esprime attraverso l’azione concreta. Fa risuonare la parola d’ordine dell’amore che sconfigge ogni paura e rende liberi. Tibi dixit: nella  misura in cui accogliamo il Verbo che ci rende figli di D-i-o, diveniamo pure noi persone capaci di generare Vita, di condividere con generosità i doni dello Spirito Santo. A cominciare dalla Parola che abbiamo ricevuto da D-i-o e che a Lui ora rivolgiamo pieni di fiducia.
Cor. Tutto ciò non è un calcolo destinato a dissolversi nel nulla. Non è un nostro progetto che vogliamo affermare ad ogni costo per sentirci validi e valorosi. Le manovre importanti nella nostra esistenza non si giocano con la forza bruta e neppure con l’acume dell’intelligenza. Siamo figli di D-i-o e fratelli tra di noi a partire dal cuore. Con le sue tachicardie, i suoi sobbalzi, le sue fragilità. Soprattutto con il suo abbandonarsi come un piccino sul petto della mamma celeste: D-i-o.
Meum: nel recuperare la nostra persona quale figli di D-i-o, distacchiamo da noi stessi le innumerevoli sanguisughe che ci assalgono e ci svenano senza pietà. Diveniamo quello che già siamo per grazia del battesimo. Inoltriamoci nella quaresima verso la tappa del Tabor. Andiamo oltre. Senza timore. Con rinnovata fiducia in Colui che ci ha raccolti vicino a sé per condividere con noi il suo destino di amore e di pace, di verità e bellezza.
L’introito Tibi dixit è tramandato da due recensioni strettamente correlate: una romana, l’altra gregoriana. La prima rivela una trasmissione più stabile nella costruzione ripetitiva dei due nuclei qui colorati in giallo e in azzurro. Ciò che colpisce è, tuttavia, una differente interpretazione o esegesi del testo salmico divenuto preghiera della Chiesa tutta e del singolo credente. Ciascun lettore può facilmente capirlo. Basta ascoltare la frase 2 oppure guardare le trascrizioni che evidenziano, appunto, la differenza: quæsivi (ROM) e vultum tuum (GRG).
                                                                                                                                 

Bruder Jakob
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