SABATO/DOMENICA DELLE PALME
220409/10
Domine ne longe facias auxilium tuum a me
ad defensionem meam aspice libera me de ore leonis
et a cornibus unicornuorum humilitatem meam.
Signore, non startene lontano,
forza mia, affrettati a soccorrermi, salvami dalle fauci del leone,
dalle corna dei bufali questo disgraziatotrad. di L.A. SCHÖKEL
L’introito Domine ne longe facias – tradizionalmente cantato la domenica delle palme – dopo l’ultima riforma conciliare è stato assegnato alla Messa del sabato precedente. Il testo è tratto dal salmo 21 (vv. 20 e 22) e
il suo significato è reso bene dalla traduzione interpretativa del gesuita L. A. Schökel.Nella preghiera è espressa non tanto una certa rassegnazione, quanto piuttosto una serenità di
fondo nonostante sia difficile la situazione in cui si trova l’orante. Più che dalla supplica insistente, la serenità è rivelata dalla melodia molto pacata. Essa forza un poco l’articolazione della preghiera davidica
e si sviluppa – in entrambe le recensioni esaminate – in tre segmenti estremamente semplici. Il progetto musicale nelle due formulazioni conosciute non presenta fondamentalmente alcuno sviluppo; si direbbe
privo di un tema caratterizzante com’è realizzato, ad esempio, in altri introiti o brani poderosi come il graduale Christus factus est. Oggi tutto si adagia su un tipico recitativo plurisonico, enunciato da poche
espansioni sonore di sole tre note. Si osservi, ad esempio, il segmento 1 gregoriano: esso predilige i suoni intorno alla finale/tonica sol: la III fa sol la. Nel segmento successivo 2 la nota perno è la ‘dominante’ do
intorno al quale risuona l’alone creato dal si e dal la. Queste due efficaci soluzioni timbriche affiorano entrambe nella sezione finale 3.
Dal centro di questa distesa quieta improvvisa, ma sollecitata dall’orazione accorata, emerge con vigore inaspettato, quasi fosse un provetto delfino giocoliere, l’acuto re mi. La serenità, frutto della fiducia
in D-i-o, mostra una sua dimensione che ridesta l’attenzione, ci scuote dal torpore. L’abbandono al Padre non è affatto annullamento della tensione. È, al contrario, l’atteggiamento/situazione primaria che
permette di recuperare lucidità ed energia fino ad avere la forza di gridare de profundis ad Te, Domine, clamavi & clamo: Aspice, libera. Sicuri che D-i-o non è distratto né ci ha dimenticato. Anzi, come traduce il gesuita
spagnolo, si affretta con una risposta che, sappiamo per esperienza, precede sempre e con gesti concreti la nostra implorazione. Ma spesso non ce ne accorgiamo perché ripiegati sulle nostre disgrazie e, appunto,
perché siamo disgraziati rischiando di perdere l’occasione di accogliere la sua grazia.
Bruder Jako